sabato 7 luglio 2007

Luchino Visconti






Il suo nome si collega ad un capolavoro: "Il Gattopardo", 1963. Una di quelle pellicole entrate nella storia del nostro cinema: la bellezza di una giovanissima Claudia Cardinale accanto alla carismatica presenza del Principe Don Fabrizio di Salina, alias Burt Lancaster.


Si avvicina al cinema nel 1936, come aiuto di Jean Renoir, cineasta francese. La sua opera prima risale al 1943 e s'intitola "Ossessione": uno specchio della realtà nazionale di allora, commisto a spunti culturali diversi, da quelli francesi a quelli nordamericani.


Cinque anni dopo, ispirato dal capolavoro verghiano I Malavoglia, porta sullo schermo "La terra trema"; dove, con toni epici e lirici di profonda intensità, offre uno struggente ritratto sociale. Da allora si susseguono pellicole quali "Bellissima", 1952, "Senso" del 1954, "Le notti bianche", 1957 e poi il famoso "Rocco e i suoi fratelli", del 1960. Vibrante storia di una vedova e i suoi cinque figli: una famiglia di cui narra la lenta, tragica disgregazione, cominciata per l'amore di una stessa ragazza. Un capolavoro ricco di richiami letterari, da Mann a Dostoevskij, nell'eterna lotta dualistica tra bene e male. Una pellicola dai forti sentimenti e dalle scene dure, sulla quale piomba la scure della censura: nell'episodio dello stupro di Nadia.



Col passare degli anni, il suo gusto per il preziosismo e la rifinitura aumenta. Eccolo dirigere l'apocalittico "La caduta degli Dei", 1969, l'indimenticabile e tormentato "Morte a Venezia" 1971, fino al drammatico "Ludwig".Uno dei grandi meriti di Visconti è quello di aver sprovincializzato, con la sua visione cosmopolita, le consuetudini sceniche italiane. Con lui il regista non solo dirige, ma ricrea e interpreta lo spettacolo: che sia teatrale o cinematografico.Non lasciò mai il teatro.




Dal 1946 al 1960 allestì diverse performance tratte dalle opere di Cocteau, Sartre, Cechov, Goldoni e tanti altri, quasi sempre con la compagnia Morelli-Stoppa.

Nel 1954 esordisce come regista di teatro lirico in La vestale di Spontini. È stato considerato a lungo come l'antesignano di una cultura nuova, d'ampio respiro, nazional popolare. Si rivela come un protagonista dello spettacolo, amante del particolare, raffinato e coinvolgente, affascinato dai contrari e dalle contraddizioni.

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