sabato 7 luglio 2007

Cesare Zavattini



Soggettista, sceneggiatore e scrittore. Notato per la sua bravura , per il bello scrivere e per la sagacia delle sue osservazioni, sviluppò col tempo una brillante carriera cominciando a collaborare a numerose riviste e arrivando addirittura a dirigere per Rizzoli tutti i periodici dell'editore. In particolare, sempre negli anni '30, prende in mano il periodico rizzoliano "Cinema illustrazione", molto importante per capire la successiva evoluzione dello scrittore, fortemente attratto appunto dal cinema e deciso e mettere in pratica le sue attitudini di sceneggiatore, in quel periodo ancora sopite.


A fianco dell'intensa attività di giornalista, non bisogna dimenticare l'eccezionale capacità di Zavattini come scrittore, a cui si devono anche libri ricchi di fantasia e di un surreale umorismo, opere che lo imposero all'attenzione della critica e del pubblico, come uno dei più originali umoristi italiani di quegli anni.


Nel cinema invece cominciò a lavorare come soggettista e sceneggiatore, nel 1935, esordendo con "Darò un milione" (M. Camerini) e proseguendo con altri film di minor spessore.

In questo periodo, Zavattini può dare spessore concreto alla sua vera passione, quella dello sceneggiatore grazie al contatto con registi straordinari (ad esempio con Alessandro Blasetti, con cui nel 1942 collabora al film "Quattro passi tra le nuvole").


Ma su tutti questi incontri spicca il geniale Vittorio De Sica. Con lui, Zavattini potè esprimere al meglio e soprattutto in autonomia le sue capacità inventive, che troveranno la loro più partecipata espressione nei film passati alla storia come "neorealisti". I prodromi dello stile neorelista si possono scorgere, oltre che nei film dello stesso Blasetti, già nel desichiano "I bambini ci guardano", del 1943. In seguito sarà la volta di capolavori passati alla storia del cinema come "Sciuscià", "Ladri di biciclette", "Miracolo a Milano" e "Umberto D". L'incontro con Vittorio De Sica, insomma, è il primo capitolo di un'amicizia e di un sodalizio artistico che li vedrà protagonisti della stagione d'oro del neorealismo (in pratica, tutti gli anni '50), e che condizionerà tutta la successiva attività cinematografica dei due autori.




Accanto alla vena più propriamente "neorealistica" della sua opera è sempre stata presente tuttavia anche una vena che si potrebbe definire "surrealista", caratteristica delle sue prime prove di scrittore ma che ha anche punteggiato la sua intera carriera di sceneggiatore (anche se con risultati alterni). Questo lo si nota molto bene sia in "Miracolo a Milano" (1951), o ne "Il giudizio universale" (1961), ambedue diretti dall'inseparabile Vittorio De Sica.

Tra le altre sue opere di rilievo, vanno almeno ricordate "E' primavera" (1949, R. Castellani), "Bellissima" (1951, L. Visconti), "Prima comunione" (1950, A. Blasetti), "Buongiorno, elefante!" (1952, G. Franciolini) e "Il tetto" (1956, V. De Sica), che può essere considerato il film che inizia il periodo involutivo della poetica zavattiniana e segna la crisi del neorealismo.

Zavattini ha comunque lavorato durante la sua lunga e luminosa carriera anche con altri grandi registi del cinema italiano e internazionale. Ne citiamo alcuni: Michelangelo Antonioni, Jacques Becker, Mauro Bolognini, Mario Camerini, Renè Clement, Damiano Damiani, Giuseppe De Santis, Luciano Emmer, Federico Fellini, Pietro Germi, Alberto Lattuada, Carlo Lizzani, Citto Maselli, Mario Monicelli, George Wilhelm Pabst, Elio Petri, Gianni Puccini, Dino Risi, Nelo Risi, Roberto Rossellini, Franco Rossi, Mario Soldati, Luigi Zampa.

Rispetto ai limiti concessi dalla pur necessaria costruzione spettacolare del film, Zavattini cercherà di andare oltre a queste restrizioni con una serie di film-inchiesta realizzati da diversi registi su temi appositamente scelti: "Amore in città" (1953) in cui volle giungere al diretto contatto con la realtà nel suo farsi nell'episodio "Storia di Caterina" (F. Maselli); "Siamo donne" (1953), "Le italiane e l'amore" (1961), "I misteri di Roma" (1963), in cui portò alle estreme conseguenze la sua poetica del pedinamento della realtà.

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